cultura solidarietà

Giovanni Bollea

 

Giovanni Bollea, nato a Cigliano Vercellese nel 1913, innovatore della neuropsichiatria infantile italiana del dopoguerra, si è formato a Losanna, Parigi e Londra ed è professore emerito presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Fondatore e direttore dell’Istituto di neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli, primo presidente della Società italiana di neuropsichiatria infantile, promotore di innumerevoli iniziative a favore dell'infanzia, è noto al grande pubblico anche per i suoi interventi televisivi.  Premio alla carriera del Congresso Mondiale di Psichiatria e Psicologia Infantile e dell'adolescenza  2004.

Da Notizie UNICEF

"Lo dice Bollea". Ogni volta che accade qualcosa di inquietante, che apre nuovi, imprevedibili interrogativi sul mondo dell'infanzia e dell'adolescenza, è a lui che ci si rivolge per cercare di capire: il "grande vecchio", saggio, austero e bonario, che negli anni cinquanta ha rivoluzionato la neuropsichiatria infantile italiana, introducendo per la prima volta la psicoanalisi, la psicoterapia di gruppo e il lavoro d'équipe nella storica clinica universitaria di Roma, dove sulla porta di entrata si legge ancora il suo nome.
Il 5 dicembre prossimo il prof. Bollea compirà novant'anni, e a ridosso del suo compleanno racconta a una giornalista qualcosa di sé.
 
"Occorrono una grande sensibilità e un certo intuito per entrare in sintonia con un bambino. Sarete dei buoni psichiatri infantili - dicevo ai miei allievi - quando riuscirete a fare una diagnosi guardando negli occhi un bambino."
 
"Invecchiando" prosegue Bollea "si ha la sensazione di ritornare sempre più indietro, alle proprie origini, come un fiume che si restringe: più il solco è stretto più ci si avvicina alla sorgente, dove l'acqua è limpida. Si vede in profondità la propria storia. Si distinguono le cose essenziali. Si fa un bilancio fra i ricordi belli e quelli carichi di amarezza, di rimpianti, di sensi di colpa."

Professore emerito presso l'Università "La Sapienza" di Roma, fondatore e direttore dell'Istituto di neuropsichiatria infantile di Via dei Sabelli a Roma, Giovanni Bollea ha ricoperto i più prestigiosi incarichi in questo settore in Italia e all'estero.
 Oltre al compendio di neuropsichiatria infantile e a più di 250 lavori, ha pubblicato il bestseller Le madri non sbagliano mai (Feltrinelli).
 Fra le sue onorificenze più recenti, la laurea honoris causa in Scienze dell'educazione dell'Università di Urbino.
E' membro del Comitato d'Onore del "Premio UNICEF - dalla parte dei bambini" sin dalla sua istituzione nel 1999.

(09/12/2003)    I 90 anni di Giovanni Bollea padre della Neuropsichiatria Infantile
Il 5 dicembre Giovanni Bollea ha compiuto 90 anni: fra gli altri cattedratici del suo tempo la sua personalità è emersa come la più forte e carismatica dovuta al suo lavoro plurifocale che lo ha visto impegnato nella trasformazione della Neuropsichiatria Infantile da scienza diagnostica a terapeutica e nella realizzazione di un Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile Universitario autonomo dalle discipline consorelle come la psichiatria e la pediatria.

A lui si deve, infatti, la fondazione a Roma dell'Istituto di Neuropsichiatria Infantile dell'Università "La Sapienza" (Via dei Sabelli), uno dei più importanti e completi in campo internazionale di cui è direttore e dove vengono portate avanti innovazioni molto significative sia in settori storici della disciplina sia in nuovi filoni multidisciplinari.

All'Istituto pervengono ogni anno oltre 4000 casi. In generale si tratta di soggetti che hanno i diversi problemi clinici in fase abbastanza iniziale. Per una discreta percentuale si tratta di casi, segnalati da altri Servizi, che richiedono una consultazione Specialistica per approfondimenti e il più delle volte, con un approccio sistematico, il momento dell'intervento può essere anticipato di molto (da 6 mesi a 2 anni a seconda dell'età e del problema clinico). Interventi così anticipati sono molto meno medicalizzati e tendono ad essere più risolutivi ed in tempi più brevi. Al momento sono stati visitati, con queste procedure, circa 6000 bambini di cui ne sono risultati con problemi nascenti circa 260 (oltre 4 bambini su 100).

Grande innovatore della moderna Neuropsichiatria Infantile del dopoguerra Bollea ha avuto il merito di mettere assieme e mantenere inscindibili le due parti che dialetticamente la compongono: quella somatica, biologica, neurologica e quella psico-affettiva e socio-relazionale. In base alla prima, la Neuropsichiatria Infantile è entrata in un rapporto dialettico continuo con scienze quali la Pediatria, la Puericoltura e oggi, soprattutto, con la Neonatologia, la Genetica, la Neurobochimica e la Neurologia dello Sviluppo. In base alla seconda parte, essa si rifà alla Psicolinguistica, alla Psicologia Evolutiva ed alla Pscichiatria descrittiva e psicodinamica della prima, seconda e terza infanzia e dell'adolescenza.

La scuola fondata da Bollea ha fatto molto per il disagio psicologico del giovane senza trascurarne l'aspetto educativo e lo ha fatto sempre in relazione con i genitori. Egli ha infatti tracciato una nuova modalità di intervento che inglobasse tutta la famiglia ed il suo primo studio sull'importanza della figura paterna risale al 1954: praticamente è stata rivista tutta la psicoterapia italiana così come la psicoterapia familiare centrata sui bambini.

E' difficile sintetizzare trentaquattro anni di attività di un ricercatore come Bollea che ha offerto alla scienza una numerosa quantità di spunti emersi dalle sue osservazioni quotidiane. "Avevo la piacevole sensazione di scoprire sempre del nuovo - afferma - e siccome l'applicazione di questo nuovo dava dei grandi e visibili risultati, non si poteva rimanere che entusiasti del bene che si faceva a questi giovani. Tutto questo dava un clima di grande fervore alla vita dell'Istituto costituito da un formidabile gruppo di lavoratori a tutti i livelli,, sanitari, ausiliari ed amministrativi".

Medaglia d'oro al merito della Sanità Pubblica, Giovanni Bollea ha pubblicato oltre 310 lavori scientifici, quattro monografie ed un compendio di Neuropsichiatria Infantile ricoprendo nel tempo tutte le cariche nazionali ed internazionali della Specialità

Libri                                            Le madri non sbagliano mai

“Con queste pagine dedicate ai genitori, vorrei rendere più felice la vita di tanti bambini .“
 Le madri non sbagliano mai. E i padri? Forte della sua lunga esperienza di neuropsichiatra infantile, Giovanni Bollea parla a entrambi i genitori con semplicità, naturalezza e anche un po’ di humour.
In fondo - ci ripete - gli strumenti di un’educazione equilibrata sono antichi ed insieme rivoluzionari : l’amore, la disponibilità all’ascolto, l’esempio.
L’istinto materno e il ruolo paterno hanno un peso decisivo. Si tratta di governarli con semplice saggezza, con mano leggera. Bollea si schiera a fianco dei genitori e “lavora“ con loro : da questa partecipazione attiva, sollecita, prende forma un volume che quanto più guarda ai quotidiani eventi della vita, tanto più fa luce sul vero obiettivo, lontano ma inevitabile: fare di un figlio un bambino felice e un cittadino responsabile, insegnarli a vivere.

Articoli
Anche i figli hanno le loro ragioni - Le prime pagine
Premessa, E se i padri sbagliano…

A suo tempo dissi che le madri non sbagliano mai, ma non dissi che le madri hanno sempre ragione. Qual è l’origine di un pensiero soltanto apparentemente così paradossale?
Patologie a parte, nella mia esperienza ho incontrato figli che hanno dimenticato gli errori delle madri e ricordato indelebilmente quelli dei padri: per questo si può dire che “le madri non sbagliano mai”. E i padri invece sbagliano? Se sbagliano, comunque i loro errori vengono ricordati, soprattutto dai figli maschi. Le ultime ricerche ci dicono che il 54% di loro è soddisfatto delle madri, mentre solo il 9% dei padri. Cosa possiamo dedurne? A domande più specifiche i ragazzi rispondono di essere insoddisfatti dei padri che non portano a casa uno stipendio sufficiente rispetto allo standard borghese, o non provvedono ai loro desideri materiali, come lo sport, una macchina nuova, lo stereo, abiti firmati, tecnologie sofisticate o semplicemente un nuovo telefonino.
È evidente a tutti quanto queste confessioni dimostrino un vero e proprio fallimento culturale, concepito in una profonda mancanza di valori alternativi. Eppure, oggi, i padri sono molto più vicini di una volta ai loro figli; basti notare la quantità di carrozzine e passeggini da loro portati, a volte con un atteggiamento più tenero e attento di quello delle madri; e poi l’interessamento per la scuola, da me tanto auspicato, che oggi è aumentato; e così il dialogo, ancora insufficiente ma più aperto e mirato. Nonostante tutto ciò, nella mente dei figli l’identikit del padre è modellato su effigi, icone e ritratti degli eroi vincenti in televisione, negli spot e nei film d’azione: feticci e simulacri nei quali vogliono a tutti i costi individuare i propri padri. È tuttavia molto interessante scoprire che pochissimi vorrebbero cambiare famiglia o averne una diversa. È sconcertante vedere che la madre non è stata ancora identificata in una figura “produttiva” sul piano materiale, al di là dello stipendio che riesce a portare a casa: l’effigie materna resta ancora una sorta di icona. Ma per lo meno crudele è il cinismo riservato al padre, il quale naturalmente cercherà di trovare facili scappatoie in una fuga in avanti per liberarsi dal sentimento di inadeguatezza che lo deprime quotidianamente.
Per i ragazzi riconoscere di non essere soddisfatti di quello che ricevono dal padre è meglio del rinunciare all’apparire, scimmiottando una realtà che li fa sentire “forti” e che, al contrario, li rende sempre più deboli. La visione costantemente ripetuta del solito modello consumistico alza uno steccato, costruito giorno per giorno, paletto dopo paletto, intorno all’immagine del padre, il quale, alla fine, si troverà davvero di fronte una barricata. Dato poi che gli uomini non trovano mai quello che cercano, bensì quello che creano, rendiamoci conto della pericolosità di questo spostamento di valori. Se non rendiamo i ragazzi consapevoli della loro identità e delle loro reali possibilità, essi non riusciranno mai a immaginarsi forti senza ricchezza, firme e automobili costose.
Il padre deve perciò avere un rapporto di empatia con il figlio soprattutto dai dodici-tredici anni fino ai venti. Dai diciassette ai venti è importantissimo che egli ne comprenda l’esperienza affinché il figlio si ritenga da lui appoggiato. I figli devono poter dire come si sentono; e devono fidarsi, in modo che, nel momento in cui esploderà il conflitto, ci sia un terreno di confronto comune a disposizione per risolvere insieme il problema. È così che si può arrivare a percorrere la strada che li condurrà a desiderare di ricevere e ascoltare i consigli.
Non si arriverebbe a tanto cinismo se il padre riuscisse a riconoscere molto prima le emozioni del bambino, creando così un’occasione di intimità. Potendo capire dall’interno quelle emozioni comincerà, poi, a porre dei limiti ai desideri del figlio e a poggiare sull’altro piatto della bilancia i valori fondamentali che stanno nelle sue qualità morali e intellettive, strumenti non valutabili in denaro, ma essenziali per affrontare la vita e capaci di renderlo più felice, con un’esistenza migliore. Insieme a valori come l’amore, l’aiuto, la solidarietà.
Bisogna evitare che diventi emotivamente impedito perché turbato e preoccupato da discussioni e conflitti che, troppo spesso, esplodono in famiglia per motivi economici; conflitti nei quali il padre appaia sminuito da richieste eccessive e sproporzionate al suo guadagno. E bisogna iniziarlo fin da piccolissimo al confronto con chi vive una vita fatta soltanto di povertà e dolore: ciò non lo spaventerà, anzi lo renderà più consapevole di tutto il positivo che c’è anche soltanto in una delle sue giornate “felici”, costruite sull’unione delle energie di padre e madre. Prospettandogli la possibilità di rendere felici molti altri bambini: bastano il suo pensiero, i suoi piccoli risparmi e la condivisione delle sue emozioni.

© 2005, Feltrinelli.
Sette regole d’oro
per educare i bambini
 
 http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Attualit%E0/04-05/3-Educazione_Bambini.html

LA NUOVA SCUOLA
La famiglia deve formare il figlio, la Scuola deve formare il cittadino.Ambedue sono, quindi, i responsabili della formazione che dovrà poi dare i suoi frutti alla Società. Ma nei periodi di incertezza culturale, economica e politica, questa azione formativa deve essere sempre più profonda e capillare; colpa dei pilastri portanti, famiglia e Scuola, che oggi non si sono adeguati alle esigenze della Nazione. I motivi sono comprensibili ed evidenti ma di difficile soluzione. La prima attribuisce ogni colpa all’influenza negativa della Società, con le solite invettive contro TV, cinema, stampa e orari di lavoro. La Scuola, pur avendo ancora un’alta
percentuale di bravi insegnanti, si affianca ai genitori nell’accusa, lamentando un disagio educativo, dovuto alla poca considerazione di famiglia e Società verso la Scuola stessa e il suo potere formativo; la quale non ha saputo, però, né voluto adeguarsi a questo compito; aumentando al contrario al suo interno la noia della routine. Ma la causa principale di questa inadeguatezza, penso sia insita nello iatus formatosi proprio tra istruzione scolastica e cultura sociale. Ed è questo problema che ho affrontato quest’anno al Congresso di Psicopatologia Infantile a Pesaro e all’Università di Urbino; ma ora ritengo necessario parlarne ancora, sottolineando subito quanto sia diminuita la fonte formativoculturale. Scuola e Società civile sono infatti due entità ormai separate, mentre dalle ultime ricerche si deduce che le richieste di lavoro danno un plus valore alla Cultura Sociale rispetto al diploma scolastico per l’inserimento nei vari organici lavorativi. Ma cos’è la cultura? Preferisco definire la cultura come un fatto individuale e considerarlo come l’insieme degli apporti e delle conquiste soggettive in campo generale o specifico, che un individuo acquista, durante i suoi anni formativi e, in seguito, con successive esperienze e perfezionamenti etici, sociali, scientifici e applicativi. Lo sforzo della Scuola per aggiornare i programmi scolastici è evidente, ma la vita dello studente, dai 12 ai 20 anni, ha molte più esigenze di quante ne vengano prese in considerazione e quindi, è necessario un forte eclettismo di idee proposte e soluzioni. Per meglio far capire il mio punto di vista sul rapporto Scuola-Società vorrei che si possano esprimere due tipi di Scuola: Scuola A e Scuola B. La Scuola A è
l’attuale Scuola con le proposte dell’on.le Moratti e le conseguenti eventuali modifiche. Non voglio entrare nelle diatribe della Scuola A, che sarà approvata e realizzata, spero dopo aver modificato i programmi di studi curriculari. Desidererei perciò, che soltanto nei primi otto anni, prevalesse lo Studio curriculare, allargato a una visione europea, la quale verso la fine della prima tranche, cioè dopo i primi 8 anni di Scuola, divenisse internazionale per tutte le Superiori. Un titolo di studio veramente moderno, non appesantito da troppi ricordi letterari, ma completato da un reale approfondimento di invenzioni e sollecitazioni delle tecnologiche attuali. La Scuola B, dovrebbe invece essere una Scuola più libera da infrastrutture, facilitata dall’autonomia scolastico periferica, già concessa dal Ministro ma poco reclamizzata e quindi realizzata. Una Scuola che faciliti l’altro elemento, che risulta vincente per l’inserimento lavorativo degli studenti diplomati. Generalmente non prediligo le statistiche ma, scegliendo fra quelle che reputo più attendibili sugli elementi essenziali per l’inserimento professionale dei nostri giovani desumo con chiarezza che il titolo di studio (della Scuola A) emerge a parimerito con la preparazione culturale plurima. La Scuola B, che illustrerò tra poco, dovrebbe avere perciò, come scopo principale, una dilatazione della cultura, aumentandone la curiosità del sapere e quindi la discussione, migliorando i rapporti tra scolaro e padre, tra studente e Professore che inglobi discussioni su nuove tematiche e nuovi interessi.
Una versa attivazione della creatività, delle conoscenze specifiche e degli interessi che aprano alla discussione non solo Professori delle due Scuole A e B, ma soprattutto genitori e figli; aprendosi a quelle letture che aiutino a selezionare con attenzione equilibrata il veloce cliccare sui motori di ricerca e sui link, per analizzare e scoprire le proprie attitudini e le proprie reali disponibilità: a sintetizzare e interpretare quei frammenti di realtà soltanto somministrata e non mirata alla loro personale crescita. Un’apertura oggi, indispensabile al fine di usare meglio, non soltanto le banche-dati ma ad aumentare tutti quegli spunti adatti ad allargare, rompere o diversificare le metodologie della Scuola A. Aprire alla cultura: intendendo per cultura un interesse letterario, scientifico sociale del
presente. Per questa Scuola B penso a conferenze, attivate da discussioni, a letture magistrali per differenziarle dal concetto di lezione. Con partecipazioni gratuite durante le quali gli studenti possano fare domande, chiedere approfondimenti e pubblicazioni da leggere. Partecipazioni di professori, industriali, commercianti, scienziati, giuristi, banchieri, giornalisti, scrittori, medici, finanzieri, ecologisti, archeologi della stessa città provincia, regione, insieme a universitari ancora in attività o in pensione. Il Consiglio d’Istituto e una Commissione di genitori consapevoli dell’importanza di una vera preparazione culturale come artefici di questa Scuola B o Scuola culturale, sceglieranno i temi da trattare durante ogni anno scolastico, anche a classi unite. In pratica che le conferenze e i
colloqui si svolgano due volte al trimestre durante la Scuola Media e le lezioni magistrali e tre volte al trimestre durante i corsi superiori. Pensate a come si è perso il concetto di trasmissione culturale dalla vecchia alla nuova generazione dei futuri cittadini! Quanta cultura dei padri e dei nonni è stata trasmessa ai nostri figli? Pochissima, mentre con questo apporto del passato nel presente spiegato e discusso non saranno disperse e fugate tante utili e preziose energie dell’anziano colto. Le modalità di trasmissione saranno documenti e schemi di riferimento, trascrizioni di appunti e riferimenti culturali, interpretazione di dati, avvenimenti vissuti cronologicamente vicini o lontani, ricerca e punti di riferimento su molte situazioni internazionali, sul sociale e le sue assolute necessità, su diritti e doveri dei cittadini, nel concetto greco della polis. Diciotto interventi nella Scuola Media e 45 nelle Classi superiori, è un apporto culturale che lascia un segno e potranno dare un quadro vivo della Società nella quale i giovani crescono. Sono profondamente convinto di vivere in un momento di forte trasformazione sociale con un reale bisogno di ricorrere alla dietrologia per impostare una ristrutturazione etica. La linea evolutiva di come crescere nella Scuola A e nella Scuola B mi sembra sia già una buona piattaforma di lancio sulla quale il profondo impegno innovativo spingerà il nuovo insegnante a ridiventare pedagogista e il genitore più attivo e partecipe nel nuovo rapporto col figlio: da padre a studente che cresce per diventare un cittadino e un politico nel senso greco: uomo della polis. Riscrivere un nuovo aggiornamento collettivo sul rapporto tra scuola, mondo del lavoro, della produzione e della cultura, facendo lievitare al massimo la fantasia adolescenziale che è il periodo della vita più biologicamente creativo e quindi idoneo ad essere caricato di significati e motivazioni tali da spingerli a non accettare influenze di elementi disgregativi negativi. Quante trasgressioni adolescenziali diminuirebbero nella nuova triade “Famiglia-Scuola-Società” per far posto alla forte spinta delle proprie responsabilità creativo-culturali! Chiedo al Ministro della Pubblica Istruzione che dia disposizioni affinchè venga attuato questo importante esperimento di innovazione culturale nella nostra Scuola Media e Superiore, senza spese per lo Stato, attraverso l’autonomia dei complessi scolastici, per dare ai nostri adolescenti la possibilità di una nuova esplosione dell’Io, in un altro modo di vivere la Scuola: usando la loro vitalità interiore come bisogno creativo che si trovi in sintonia, con le dinamiche del sapere, necessarie al futuro del cittadino responsabile. Un piacere di imparare, quindi, che, se acquisito nel profondo, fin dall’adolescenza, non finirà mai. Pensiamo al discepolo di Socrate, che dopo aver chiesto al Maestro per quale motivo volesse imparare a suonare la cetra, nonostante che il giorno seguente gli facessero bere la cicuta si sentiva rispondere “perché mi piace imparare”! Ma dopo 24 secoli Eliot a proposito dell’apprendimento ci diceva: “se le parole dell’anno prossimo attendono un’altra voce….”
Giovanni Bollea



Da La Stampa web
Giovanni Bollea: «Il nuovo lupo cattivo è Internet»
Il padre della neuropsichiatria infantile mette in guardia i genitori sui rischi di isolamento provocati dalla rete

8 giugno 2003

ROMA. Oggi il lupo indomabile «è Internet. E non solo per quello
che i ragazzi possono trovarci dentro di educativamente sbagliato, per esempio il sesso».

Giovanni Bollea, padre della neuropsichiatria infantile italiana, 90 anni, al quale martedì sarà consegnata una laure honoris causa in Scienze dell'educazione dall'Università di Urbino, spiega che «la sindrome da solitudine on line è già una patologia conosciuta e studiata. I ragazzi imparano ad ottenere soddisfazione non più dal contatto umano con amici e genitori, ma da uno schermo».

Parlando sempre di Internet, Bollea sottolinea che «i padri spesso ne sanno meno dei figli, comunque navigare in due è quasi impossibile. E i filtri non funzionano». Secondo il padre della neuropsichiatria infantile italiana, che crede ancora «ai due grandi pilastri dell'educazione: la scuola e la famiglia», l'antidoto contro la solitudine elettronica è uno solo: «una famiglia che funziona. Con un padre ed una madre presenti».
«Con la televisione si può venire a patti - aggiunge Bollea - Bisognerebbe «pulire» i telegiornali delle 13 e delle 20, quelli a portata dei bambini, non è obbligatorio che siano pieni di cadaveri; soprattutto bisogna che i padri e le madri imparino a guardarli assieme ai figli, a commentarli, a discuterli».

Internet "lupo cattivo"? I commenti e le opinioni


«Il lupo ha la pelle dura - conclude Bollea - Ma qualsiasi papà, qualsiasi mamma, se vogliono, se si guardano dentro, se non hanno paura, se non sono distratti, possono scacciarlo».

Internet il nuovo «lupo cattivo»? L'allarme lanciato da Giovanni Bollea, che ha detto di aver paura della solitudine dei ragazzi davanti al computer è condiviso dalla psicologa Maria Rita Parsi. «Sono perfettamente d'accordo - dichiara - Internet è uno strumento meraviglioso, ma, se non un lupo, è certamente uno strumento molto pericoloso che gli educatori devono insegnare ad usare ai bambini».

«Sono stata allieva di Bollea -sottolinea la Parsi - e ritengo che il pericolo di Interet stia soprattutto nel fatto che i bambini lo sanno usare di più degli adulti, sono più esperti, ed il pericolo vero deriva dal fatto che la mamma non accompagna il figlio nell'uso del computer. Nel virtuale non ci sono regole e, mentre i bimbi 'naviganò, sono anche vittime dei messaggi dei pirati della 'retè, come i pedofili. Questi sono i lupi».

Il rimedio contro i pericoli del web, secondo la Parsi, sta in una «regolamentazione ferrea di Internet, per evitare che sia un 'Far West»'. «Gli educatori devono accompagnare i bambini -sottolinea la psicologa- nell'uso del web. In tal senso è necessaria una campagna di sensibilizzazione delle famiglie e degli educatori, per mettere i più piccoli nelle condizioni di essere informati sui rischi che corrono. Sono necessari -conclude- più controlli e più regole».

Internet il nuovo lupo cattivo? «Non sono d'accordo con Giovanni Bollea. I pericoli sono in agguato dappertutto. Anche nella televisione, nel telefono e nel cellulare». La pensa così la parlamentare di Alleanza nazionale, Alessandra Mussolini, sottolineando che «se non c'è il controllo e l'assistenza dei genitori, tutto può essere pericoloso, anche attraversare la strada». «Se si lascia un bambino a casa da solo - spiega- incustodito, può andare incontro a pericoli. I genitori devono stare accanto ai figli e devono essere più attenti. Il rimedio è questo: non lasciare i bambini mai da soli. I pericoli sono dovunque».

«Non bisogna demonizzare le cose -sottolinea la parlamentare di An, parlando soprattutto da mamma - Gli strumenti non sono pericolosi se c'è la mediazione dei genitori, per i quali la cosa più importante dev'essere stare con i figli, altrimenti qualsiasi cosa si può trasformare in un'arma». Internet «è un universo ed una risorsa -aggiunge la Mussolini- Il futuro è quello. Nel nuovo mondo del lavoro si è tagliati fuori se non si sa usare il computer». «Mia figlia Caterina -conclude- che ha sette anni, non 'navigà su Internet perchè ci sto attenta io, ma sa usare alcuni programmi del computer ed è davvero bravissima».

«Il problema non è stabilire se Internet va bene oppure no, se i mezzi elettronici aiutano o disilludono le persone. L'importante è l'uso che se ne fa». Aldo Carotenuto, psicanalista e docente di Psicologia della personalità all'Univeristà «La Sapienza» di Roma, spiega di essere «favorevole agli strumenti che allargano la conoscenza, ma è anche importante capire cosa se ne può fare».

«Sono favorevole all'innovazione -aggiunge Carotenuto- ma l'importante è che sia educativa». «È necessario -ha sottolineato lo psicanalista- un minimo di educazione per distinguere tra ciò che è buono e ciò che è cattivo. Non sono scettico, il male ed il bene sono sempre esistiti ed è necessario capire come orientarsi nella selva oscura». Carotenuto, che si dichiara «fiducioso», conclude dicendo che «è impossibile una regolamentazione» e che «i giovani devono essere istruiti sul fatto che certi siti particolari di Internet sono negativi».

«Ha ragione il professore Giovanni Bollea a dire che Internet può essere un lupo cattivo», sottolinea la psichiatra e psicoterapeuta dell'età infantile e dell'adolescenza dell'ospedale «Gemelli» di Roma, Emilia De Rosa, spiegando che «come tutti i mezzi di comunicazione, quando si utilizza bisogna essere equipaggiati». «È ovvio -dice - che su Internet ci possono essere pericoli, come quelli dei pedofili, se i bambini accedono da soli. I più piccoli devono essere accompagnati e guidati dai genitori e non devono essere lasciati da soli per ore ed incustoditi».

È anche vero che «i bambini devono imparare ad usare Internet -precisa - purchè non ne facciano un uso perverso. In tal senso, sono necessarie delle regole precise, e la stessa cosa vale a proposito della televisione, che può essere dannosa per lo sviluppo dei bambini se non viene regolarizzata». Per far fronte ai pericoli della 'retè, «sono quindi necessarie regole -conclude la De Rosa- e l'accompagnamento dei genitori, che, così come si informano sugli amici che frequentano i propri figli, devono essere informati su cosa fanno su Internet».

 

10 alberi per la vita

Intervista con Giovanni Bollea, neuropsichiatra.
di Gianni Vercellone
da .eco di Gennaio 2001

 
Giovanni Bollea, neuropsichiatra famoso e ambientalista militante. Il sogno di una "solidarietà globale" e di un sano istinto naturalistico.

Giovanni Bollea non è soltanto un famoso neuropsichiatra infantile. E' anche - un suo aspetto forse meno noto - un fervido ambientalista, spesso impegnato in battaglie per dare spazi verdi e luoghi di gioco ai bambini.

Un contributo, fin dai primi anni '60, a liberare spazi urbani al gioco e alla socializzazione dei ragazzi. Giovanni Bollea è stato inoltre padre di una legge bella e poetica, pressochè ignorata da cittadini e amministratori: quella che impone di piantare un albero per ogni bimbo che nasce.

Ma se gli enti locali non si muovono, propone Bollea, potrebbero darsi da fare le famiglie ed offrirne dieci di alberi, alberi riparatori delle emissioni che produciamo con il nostro stile di vita dissipativo ed energivoro.

Lo abbiamo intervistato nella sua casa romana.
Professor Bollea, lei è uno tra i promotori della legge che, se rispettata, obbligherebbe i Comuni italiani a piantare un albero per ogni bambino che nasce. Come è arrivato a questa idea? E' soddisfatto di come è stata gestita?

"Sono stato a suo tempo fautore della legge Rutelli che obbliga i Comuni italiani a piantare un albero per ogni bambino che nasce.
Noi, come associazione ALVI (Alberi per la vita), abbiamo promosso una campagna rivolta ai genitori o ad altri parenti affinchè donino dieci alberi per ogni neonato, basandoci su due realtà inconfutabili: innanzitutto, viviamo d'aria e di acqua e consumiamo 280 / 340 litri di ossigeno al giorno, mentre dieci alberi producono in media, la stessa quantità di ossigeno, e soltanto gli alberi producono ossigeno.
Secondo, produciamo anidride carbonica attraverso gli scarichi e le scorie dei vari strumenti superflui e necessari al vivere moderno (automobili, luce, aerei, fabbriche, ecc), senza contare la nostra respirazione, mentre soltano le piante e gli oceani assorbono anidride carbonica.
Abbiamo propagandato fortemente la creazione di boschi o parchi dove piantare dieci alberi per ogni nascita.
Una campagna della quale tutti i comuni dovrebbero appropriarsi: dieci alberi per ogni bambino che nasce, come una tassa obbligatoria.
Qualche gioellino, qualche confetto in meno per poter regalare al neonato, oltre alla vita, anche il suo bagaglio d'ossigeno".

Cosa è, cosa dovrebbe essere l'educazione ambientale in un quadro di così veloce trasformazione sociale e antropologica, di cambiamento della percezione dello spazio e del tempo?

"Noi come ALVI, Ass. Alberi per la vita, abbiamo sperimentato a Roma, a Torino e in altri piccoli centri un'educazione ambientale per la quarta e la quinta elementare e prima e seconda media: poche lezioni e molte conversazioni nei parchi. L'entusiasmo è stato grande e l'attenzione sempre più forte. Abbiamo spiegato, e spesso il consenso è stato entusiasmante ...

Giovanni Bollea è il più illustre neuropsichiatra infantile italiano, autore di oltre trecento tra pubblicazioni, monografie e compendi.
Nato nel 1913 ... apre nel 1947 a Roma il primo centro-medico-psico-pedagogico italiano.
Nel 1949 è socio fondatore della soc. italiana per l'assistenza medico-psico-pedagogica all'età evolutiva, nel 1956 dell'ass. italiana assistenza agli spastici.
Nel 1987 ha fondato l'ALVI Alberi per la vita,che ha lo scopo di rimboscare il territorio italiano ricorrendo al contributo di soci e sponsor.
Il principio ispiratore è "fare", creare nuovi boschi o "restaurare" quelli degradati.